Le regole che diamo ai nostri figli e figlie funzionano solo se siamo i primi a rispettarle. Un’analisi sincera dei nostri comportamenti per diventare un modello digitale credibile.
Dalla consapevolezza all’azione
Essere un buon modello digitale per i nostri figli e le nostre figlie è una delle sfide più complesse di oggi. Noi di NeoConnessi abbiamo già affrontato in questo articolo l’importanza di questa riflessione.
Ma come si traduce questa consapevolezza in azioni quotidiane? Vi proponiamo una vera e propria guida pratica: una checklist per analizzare con onestà le nostre abitudini e tre passi concreti per costruire una coerenza digitale in famiglia, da subito.
Imponiamo regole, stabiliamo limiti di tempo, installiamo app di parental control. Ma spesso dimentichiamo la lezione più antica di tutte: i nostri figli non fanno quello che diciamo, fanno quello che facciamo. Possiedono un infallibile radar per l’incoerenza e, quando si parla di digitale, le nostre abitudini sono il loro primo e più potente esempio.
5 abitudini digitali da mettere subito in discussione
Prima di chiedere a loro di cambiare, analizziamo con onestà alcuni dei nostri comportamenti più diffusi. Quali di questi ci appartengono?
- Il telefono sempre presente: a tavola e sul divano. È il classico dei classici. Il telefono è sempre presente durante i pasti. Magari non lo usiamo, ma è lì, sul tavolo. La sua sola presenza comunica che è un membro della famiglia, un’entità abbastanza importante da meritare un posto a tavola. Lo stesso vale per i momenti di relax: quante volte guardiamo un film “insieme” a loro, ma con un occhio allo schermo del cellulare? Siamo fisicamente presenti, ma mentalmente assenti.
- La sindrome da “notifica fantasma”. Il telefono vibra e noi, con un riflesso quasi automatico, interrompiamo qualsiasi cosa stiamo facendo. Interrompiamo una conversazione con loro, una frase a metà, un gioco. Il messaggio che trasmettiamo è potentissimo: un segnale digitale è più urgente della persona che ho di fronte. Loro imparano che la priorità va data a chi è online, non a chi è nella stanza.
- Il lavoro che non finisce mai. “Rispondo solo a questa email di lavoro”. Una frase che i nostri figli hanno sentito centinaia di volte la sera, nel weekend, persino in vacanza. Il nostro bisogno di essere sempre connessi e produttivi insegna loro che non esiste un vero tempo per la disconnessione, che il lavoro ha il diritto di invadere costantemente lo spazio familiare e personale.
- Il genitore-reporter (lo “sharenting”). Siamo a una recita scolastica, a una partita o semplicemente al parco. Invece di goderci il momento con i nostri occhi, lo viviamo attraverso lo schermo dello smartphone, impegnati a scattare la foto perfetta da condividere. Insegniamo a loro a “vivere il momento”, ma noi siamo i primi a sacrificarlo in nome della sua documentazione online.
- L’uso “tappabuchi” della tecnologia. Siamo in coda dal medico, in attesa al ristorante, in macchina nel traffico. La prima cosa che facciamo è tirare fuori il telefono per riempire quel momento di vuoto o di noia. Poi, però, ci lamentiamo se loro fanno lo stesso non appena hanno un minuto libero. Da noi imparano che la noia va combattuta con uno schermo, non con l’immaginazione o l’osservazione del mondo.
L’impatto dell’esempio: cosa imparano davvero
Ogni nostro comportamento digitale è una lezione silenziosa.
- Se il telefono è a tavola, imparano che la convivialità può essere interrotta.
- Se rispondiamo a ogni notifica, imparano che le relazioni digitali hanno la precedenza su quelle reali.
- Se lavoriamo sempre, imparano che non esiste un confine tra vita e lavoro e che la disconnessione è un’utopia.
- Se li fotografiamo sempre, imparano che il valore di un’esperienza è legato alla sua condivisibilità.
- Se usiamo il telefono per noia, imparano a non saper più stare da soli con i propri pensieri.
Diventare “modelli digitali” coerenti
Riconoscere questi comportamenti è il primo passo. Il secondo è agire, non per diventare perfetti, ma per essere più coerenti e consapevoli.
- Stabilire regole familiari (che valgono per TUTTI). La mossa più potente. Introduciamo un “cesto della tecnologia” o un “parcheggio per smartphone” in un angolo della casa. Durante la cena o in altri momenti designati, tutti i telefoni, inclusi quelli di mamma e papà, finiscono lì. Vedervi rinunciare al telefono per primi darà alle regole un’autorevolezza che nessuna app potrà mai avere.
- Narrare le proprie difficoltà e le proprie scelte. Mostriamoci vulnerabili. Invece di imporre, spieghiamo. “Stasera lascio il telefono in salotto, perché ho bisogno di staccare dal lavoro e voglio dedicarmi solo a voi”. Oppure: “Anche a me viene voglia di guardare le notifiche, ma scelgo di non farlo perché la nostra chiacchierata è più importante”.
- Progettare attivamente momenti “offline”. Non basta limitare l’online, bisogna valorizzare l’offline. Stabiliamo dei momenti in cui, per scelta deliberata, la tecnologia è bandita. Una partita a un gioco da tavolo, una passeggiata nel bosco, cucinare insieme. Dobbiamo essere noi i primi a dimostrare che la vita senza schermi non solo è possibile, ma è anche più bella.
La coerenza è l’esempio più potente
L’obiettivo finale non è la perfezione digitale, un traguardo irraggiungibile. L’obiettivo è la coerenza. Le nostre lezioni più efficaci non sono quelle che impartiamo a parole, ma quelle che mostriamo con l’esempio, ogni giorno.
Prima di dire “metti via quel telefono”, chiediamoci: dove si trova il mio?