L’amico virtuale: quando i ragazzi si confidano con l’intelligenza artificiale

16 Ottobre 2025
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Redazione
Articolo a cura di NeoConnessi

Sta accadendo qualcosa di nuovo nelle camerette dei nostri figli. L’intelligenza artificiale, da un aiuto per studiare o una curiosità tecnologica, sta assumendo un ruolo diverso: quello di confidente, di amico digitale sempre disponibile. Piattaforme come ChatGPT, Gemini e Character.AI vengono utilizzate non solo per scopi pratici, ma sempre più spesso per colmare un senso di isolamento.

Non si tratta di un fenomeno marginale. I dati raccontano una realtà significativa: il 67% dei giovani tra i 9 e i 17 anni utilizza l’IA come sostituto di amici reali. E per il 12% di loro, questa scelta nasce dal non avere nessun altro con cui parlare. Una tendenza che merita la nostra attenzione come genitori, con la consapevolezza che si tratta di un cambiamento importante nel modo in cui i ragazzi vivono le relazioni.

 

Come siamo arrivati fin qui: dal supporto scolastico al supporto emotivo

L’uso massiccio dell’IA per la scuola – il 78% degli studenti italiani la utilizza regolarmente – ha reso naturale e quotidiana l’interazione con questi sistemi. Questo ha abbassato progressivamente la barriera tra un uso pratico e uno emotivo. I ragazzi hanno iniziato chiedendo aiuto con un problema di matematica, per poi ritrovarsi a condividere preoccupazioni personali con lo stesso strumento.

È importante capire che questa evoluzione non nasce da un capriccio o da una dipendenza tecnologica fine a se stessa. La scelta di confidarsi con un’IA risponde a un disagio reale e a bisogni concreti che come genitori possiamo e dobbiamo comprendere.

 

Perché i ragazzi scelgono un’IA come confidente

I dati ISTAT ci mostrano un quadro preoccupante: la soddisfazione dei ragazzi italiani (14-19 anni) per le loro relazioni amicali è crollata dall’81,7% del 2019 al 61,6% del 2021. Questo “vuoto relazionale” ha creato un terreno fertile per l’intelligenza artificiale, che offre caratteristiche apparentemente ideali per chi si sente solo o incompreso.

Un’indagine di Skuola.net ha identificato i principali fattori di attrazione:

Disponibilità continua
Il 38% dei ragazzi apprezza il fatto che l’IA sia sempre accessibile, 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Quando un amico non risponde o i genitori sono occupati, il chatbot c’è sempre. Non ha mai sonno, non è mai di fretta, non deve andare a cena.

Uno spazio senza giudizio
Per il 31% dei giovani, l’aspetto più importante è l’assenza di giudizio. L’IA offre uno spazio sicuro dove esprimere paure, dubbi e insicurezze senza il timore di essere giudicati, ridicolizzati o fraintesi. Soprattutto in una fase della vita in cui il giudizio dei pari pesa moltissimo.

Controllo e prevedibilità
L’interazione con un chatbot elimina le complesse negoziazioni e i compromessi richiesti dalle amicizie umane. È un rapporto semplice, prevedibile, che non richiede di gestire conflitti o di mettersi nei panni dell’altro.

Come genitori impegnati nell’educazione digitale dei nostri figli, è essenziale capire che questi bisogni sono legittimi. La domanda non è “perché mio figlio fa questa cosa strana?”, ma piuttosto “cosa posso fare per aiutarlo a soddisfare questi bisogni in modo più equilibrato?”.

 

I limiti da conoscere

Quando un figlio o una figlia inizia a usare l’intelligenza artificiale come confidente, è fondamentale per un genitore comprendere i limiti e i rischi concreti di questa interazione. A differenza di un’amicizia reale, il rapporto con un chatbot presenta criticità specifiche che non vanno sottovalutate.

L’empatia è una simulazione
L’empatia mostrata dall’IA è una simulazione algoritmica, non un sentimento reale. Non può “sentire” le emozioni, ma solo generare risposte statisticamente appropriate in base a milioni di conversazioni analizzate. Questa distinzione è fondamentale: quando un ragazzo si confida, sta parlando con un programma che calcola la risposta più probabile, non con qualcuno che prova empatia.

Inoltre, l’IA tende naturalmente a concordare e validare ciò che l’utente dice, perché è programmata per massimizzare il tempo di interazione. Mentre un amico vero metterebbe in discussione pensieri dannosi o autodistruttivi, l’IA potrebbe rinforzarli involontariamente. Purtroppo ci sono stati casi gravi e documentati in cui chatbot hanno incoraggiato pensieri suicidi o autolesionistici in adolescenti vulnerabili.

Lo sviluppo delle competenze sociali
Le relazioni umane sono complesse: richiedono la capacità di gestire conflitti, tollerare l’ambiguità, accettare compromessi. Se un ragazzo si abitua solo all’interazione semplice e sempre gratificante con un’IA, rischia di non sviluppare adeguatamente questi “muscoli sociali” fondamentali. Le interazioni umane potrebbero diventare troppo difficili e faticose rispetto alla facilità dell’IA, compromettendo lo sviluppo di empatia autentica e resilienza emotiva.

La questione della privacy
Questo è un aspetto che spesso sfugge ai ragazzi (e anche a molti adulti). Dietro l’interfaccia amichevole dei chatbot si nasconde un modello di business basato sulla raccolta massiva di dati personali.

Tutto ciò che nostro figlio confida a un chatbot – le sue paure, i suoi segreti, le sue insicurezze – viene registrato, analizzato e potenzialmente condiviso. 

Cosa possiamo fare: strategie per i genitori

Gli esperti concordano: un approccio proibizionista rischia di spostare questo comportamento nell’ombra. La strategia più efficace si basa sul dialogo, sull’educazione e sul rafforzamento delle alternative umane.

 

1. Aprire il dialogo con curiosità

Il primo passo è avviare una conversazione basata sulla genuina curiosità, non sull’accusa o sul controllo. Invece di chiedere in tono inquisitorio “Cosa fai su quell’app?”, proviamo con: “Ho sentito parlare di questi chatbot IA, mi incuriosisce molto. Mi fai vedere come funziona?”.

Questo approccio – che rispecchia la filosofia del dialogo aperto che promuoviamo sempre in NeoConnessi – permette di:

  • Capire realmente cosa attrae nostro figlio
  • Aprire uno spazio di condivisione senza giudizio
  • Dimostrare interesse per il suo mondo digitale

 

2. Educare alla comprensione critica della tecnologia

Uno degli obiettivi principali dell’educazione digitale è sviluppare lo spirito critico. È fondamentale spiegare ai ragazzi che l’IA non è una persona e non prova sentimenti reali. Le sue risposte derivano da calcoli statistici su miliardi di dati, non da una comprensione emotiva autentica.

Possiamo fare insieme alcuni esperimenti:

  • Proviamo a fare la stessa domanda più volte e osserviamo come le risposte cambiano
  • Chiediamo all’IA di spiegare “come si sente” e ragioniamo insieme su cosa significa
  • Confrontiamo una conversazione con l’IA con una conversazione con un amico vero

È utile anche stabilire confini chiari e condivisi: l’IA può essere uno strumento per informazioni o intrattenimento, ma non dovrebbe essere il principale canale per questioni personali importanti o per consigli sulla salute fisica o mentale.

 

3. Rafforzare le alternative umane

La soluzione più duratura non è togliere l’IA, ma rendere le relazioni umane più attraenti e accessibili. Questo significa investire tempo di qualità offline in famiglia, incoraggiare attività sportive e hobby di gruppo, sostenere attivamente le amicizie in presenza.

Alcune idee concrete:

  • Creare rituali familiari senza dispositivi (cene, passeggiate, giochi da tavolo)
  • Facilitare occasioni di incontro con gli amici (offrirsi di accompagnare, ospitare in casa)
  • Valorizzare le attività di gruppo (sport, musica, volontariato)
  • Essere presenti e disponibili all’ascolto, soprattutto nei momenti di difficoltà

L’obiettivo è rendere l’IA “emotivamente superflua”, costruendo un ambiente basato su ascolto genuino e legami umani forti.

 

4. Dare l’esempio

Come genitori, siamo il primo modello. Se noi stessi risolviamo ogni dubbio chiedendo all’IA, se siamo sempre al telefono invece che presenti nelle conversazioni familiari, trasmettiamo un messaggio contraddittorio.

Trovare un equilibrio significa anche interrogarci sul nostro rapporto con la tecnologia e sul modo in cui la integriamo nella vita familiare.

 

Ricorda: essere genitori nell’era digitale non significa avere tutte le risposte, ma essere disposti a cercarle insieme ai propri figli, con curiosità, apertura e la volontà di imparare ogni giorno qualcosa di nuovo.

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