Cominciamo con un momento di sincera autoriflessione. Proviamo a rispondere a queste tre domande, mentalmente, parlando solo con noi stessi:
- Qual è la prima cosa che fai la mattina quando ti svegli?
- Ti capita di non guardare in faccia la persona che ti parla (magari il tuo compagno o compagna, oppure un figlio) perché stai guardando lo schermo del telefono?
- Quando è stata l’ultima volta che hai svolto un’attività con tuo figlio per più di 30 minuti senza mai guardare il cellulare?
Siamo abituati a puntare il dito: “I ragazzi stanno sempre al cellulare”, “Sono distratti”, “Vivono online”. Ma se spostiamo lo sguardo dal figlio al genitore, cosa vediamo?
Senza bussola: genitori pionieri nelle terre del digitale
Non siamo troppo duri con noi stessi però, riconosciamoci almeno un’attenuante. Siamo i genitori pionieri del web: solchiamo praterie virtuali sconfinate, circondati da paesaggi in continua evoluzione e catturati da nuove e impreviste piazze di incontro, in uno spazio che non abbiamo sperimentato nel corso dell’infanzia e (alcuni di noi nemmeno durante l’adolescenza). In questa dimensione non possiamo che muoverci per approssimazione, chi con più entusiasmo chi con più diffidenza, comunque tutti sprovvisti di una bussola che orienti con sicurezza verso Nord. Che, nella fattispecie, sarebbe il benessere digitale nostro e dei nostri figli.
Educare noi stessi per educare i più giovani
Lo psicologo Matteo Lancini, da anni all’ascolto del disagio giovanile con l’associazione Minotauro di Milano, sostiene che “vietare alle nuove generazioni comportamenti che ogni giorno governano le nostre vite spingerà i ragazzi e le ragazze a pensare che internet sia davvero più autorevole di noi adulti: genitori, insegnanti, educatori e psicologi”.
Guidati da queste parole, possiamo vedere noi stessi che rispondiamo a un messaggio mentre il bambino ci racconta qualcosa (si chiama phubbing, ovvero snobbare qualcuno per guardare il telefono). Che ci giustifichiamo dicendo “è per lavoro”, mentre la verità è che stiamo scrollando il feed di un social. Vediamo noi stessi, insomma, che predichiamo bene ma… stiamo con lo smartphone in mano e suggeriamo ai figli che anche noi siamo in balia di quel mezzo potente.
Diventare dei modelli, non perfetti ma credibili
Non possiamo pretendere che i nostri figli imparino a usare lo smartphone in modo sano se noi per primi ne siamo costantemente coinvolti e distratti. Questo non significa che da questo momento ci dobbiamo trasformare in un modello infallibile di genitore connesso. Piuttosto, possiamo partire dall’umile ammissione che “Faccio fatica anch’io”, dichiarando che per diventare utilizzatori sani di dispositivi digitali anche noi dobbiamo fare uno sforzo. Insieme ai figli, possiamo stabilire che i cellulari non compaiano a tavola durante i pasti, che la notte vengano riposti fuori dalle camere da letto, che – se facciamo un gioco o guardiamo un film – le notifiche possono aspettare. Sono piccoli passi, i primi, ma se fatti insieme condurranno verso una maggiore consapevolezza e aiuteranno a stabilire delle abitudini digitali familiari più sostenibili.
L’unione fa la forza
Si tratta di un vecchio detto, ma che si adatta perfettamente ai tempi dell’iperconnessione. La consapevolezza di essere genitori pionieri del web non ci deve scoraggiare, perché la constatazione successiva è che siamo in molti e che la sfera virtuale dà nuove possibilità di incontro e partecipazione. Le chat dei genitori possono diventare contenitori di riflessioni e condivisione di buone pratiche. Un gruppo Facebook ci può stimolare ad approfondire le sfaccettature di un tema complesso come l’educazione digitale. Questo stesso sito offre moltissimi spunti di approfondimento, con articoli, un decalogo e un corso rivolti ai genitori. Certo, bisogna prendersi il tempo di informarsi e metabolizzare, confrontandosi in famiglia e con altre famiglie. Di soluzioni preconfezionate non ce ne sono, ma possiamo cominciare a costruire insieme la nostra bussola.